sabato 27 febbraio 2010

Vortice di plastica


Alla fine dell’agosto 2009 i ricercatori della Chemical Society (ACS) hanno fatto una scoperta che sorprende poiché sovverte tutte le tesi da sempre avvalorate.
La notizia parla di un certo tipo di rifiuti che invade quotidianamente i mari di tutto il mondo; le plastiche, che si sono sempre considerate indistruttibili e pericolose soprattutto per gli animali marini che li ingeriscono o vi rimangono intrappolati, al contrario si decompongono in maniera molto rapida rilasciando sostanze tossiche nell’acqua.
L’esperto in materia Katsuhiko Saido, chimico del College of Pharmacy, dell Nihon University a Chiba, in Giappone, afferma comunque che il materiale plastico che oggi noi comunemente usiamo è abbastanza stabile ma l’esposizione al sole e all’acqua di mare lo modificano, dando senza ombra di dubbio vita ad un fenomeno di contaminazione globale che non cesserà da solo sicuramente in futuro prossimo.
Inoltre lo studioso spiega che la plastica decomponendosi rilascia bisfenolo A (BPA) e l’oligomero PS nell’acqua creando logicamente inquinamento chimico.
La plastica ingerita dagli animali molto raramente si frammenta, senza dubbio queste sostanze chimiche sciolte nell’acqua possono generare problemi a livello ormonale agli animali.
Ci sono dei finanziamenti per la ricerca da parte della Nihon University atta a scoprire le metodiche per cercare di degradare la plastica in maniera da renderla innocua per la salute.





Dobbiamo ricordare il Great Pacific Garbage Patch tra la California e le Hawaii, uno spaventoso agglomerato composto prevalentemente da rifiuti plastici, della grandezza due volte superiore allo Stato del Texas.
La formazione di quest’accumulo si è andata a sviluppare a partire dagli anni cinquanta per azione del Vortice Subtropicale del Nord Pacifico, una corrente oceanica, che grazie al suo movimento a spirale, ha riunito grandi quantità di rifiuti provenienti dalle coste e dalle profondità marine.


Fonte: (ScienceDaily)

sabato 20 febbraio 2010

Energia geotermica ai Caraibi

Nella minuscola Federazione di Saint Kitts e Nevis, situata nel Mar dei Caraibi, recentemente sono stati scoperti alcuni grandi serbatoi geotermici che permetteranno di produrre circa 50 megawatt (MW) di energia pulita. Solamente con soli 10 MW Saint Kitts e Nevis è destinata a diventare una delle nazioni carbon neutral nel mondo.
L’intenzione della piccola nazione è di esportare l'eccesso di energia geotermica che questa produce e, unitamente alla costruzione di un nuovo resort sulla spiaggia di 2.500 acri a Saint Kitts, hanno portato a questa Federazione, con una popolazione di 40.000 anime, una fonte di speranza per un futuro migliore e un aumento della qualità della vita. Lo sforzo di sviluppare impianti di energia geotermica è stato rapido ed efficace dato che il primo serbatoio a Nevis fu "scoperto" solo nel giugno del 2007. L’utilizzo della parola "scoperta" è un termine improprio, poiché si è sempre saputo che le isole vulcaniche hanno un potenziale geotermico.
Basti ricordare che il primo hotel ("Bath Hotel") nei Caraibi è stato costruito proprio nella capitale della Federazione di Saint Kitts e Nevis, Charlestown, nel 1778 ed era ed è ancora oggi una rinomata spa.
L’esplorazione formale per le risorse geotermiche ha preso inizio nel 2007 dopo aver ottenuto la concessione governativa da parte delle “Indie Occidentali Power Company” ed il diritto di realizzare e sviluppare impianti.


Il primo impianto, conosciuto come Spring Hill, è stata sviluppata all'inizio di quest'anno. La produzione iniziale sarà di 10 MW di energia elettrica utilizzando due turbine. L'impianto può essere aggiornato rapidamente per poter arrivare alla potenza di circa 50 MW. Questa capacità è solo una parte del potenziale geotermico sfruttabile in quanto, gli esperti, affermano che si potrebbero superare tranquillamente i 200 MW. L’impianto di 10 MW di potenza geotermica rappresenterà la prima centrale geotermica nel Mar dei Caraibi orientale e porrà Nevis ai primi posti come isola verde nel mondo: fornirà energia pulita, affidabile e a basso costo.
L’energia in eccesso prodotta a Nevis sarà trasportata a Saint Kitts e in altre nazioni dei Caraibi utilizzando cavi posti sul fondale oceanico. La Comunità dei Caraibi (CARICOM) ha recentemente fornito una sovvenzione di $ 38.000 come contributo per l'assistenza tecnica del progetto geotermico, con l'obiettivo di aiutare a sviluppare le risorse energetiche alternative per mitigare gli effetti del cambiamento climatico. L’iniziativa è stata seguita anche con favore dalla Banca Mondiale che ha mostrato interesse per l'importanza del progetto in quella regione.
Mentre le nazioni insulari come Saint Kitts e Nevis tendono a produrre meno emissioni, le nazioni continentali stanno già sperimentando gli effetti sproporzionati dal fenomeno meteorologico, come gli uragani ritenuti in aumento come forza a causa del cambiamento climatico globale.
Intelligentemente, Saint Kitts e Nevis si presentano in prima posizione per educare i propri cittadini riguardo l'energia geotermica, presupposto per trasformare la propria nazione, con nuovi posti di lavoro e energia pulita. Diversi opuscoli sono stati recentemente distribuiti dal Governo con alcune informazioni di base su come funziona l'energia geotermica e come possa diventare importante per tutti. Un programma verrà consegnato agli studenti affinché possano imparare, in base alle esperienze fatte dall’Islanda, come una centrale geotermica si sviluppa.
L’Islanda riceve attualmente circa il 25% della sua energia elettrica dalla geotermia ed è uno dei leader tra i 24 paesi che attualmente la producono questo tipo di energia alternativa.
Oltre a Saint Kitts e Nevis, molte altre nazioni stanno cercando di espandere la propria produzione di energia geotermica a causa del suo all-around valore come risorsa energetica. Oltre a produrre poco in termini di emissioni di carbonio, la scelta geotermica è rinnovabile, e può essere prodotta 24 ore al giorno, indipendentemente da quale sia il tempo.

Fonte:(Celsias)

sabato 13 febbraio 2010

Rischia l'estinzione il Diavolo della Tasmania

Il diavolo della Tasmania (Sarcophilus harrisii Boitard, 1841) è un marsupiale carnivoro e lo si riconosce per le sue potenti grida udibili anche a grandi distanze, il colore nero intenso della sua pelliccia e la sua natura aggressiva portarono i primi coloni europei a chiamarlo “Diavolo”.

Negli anni '50 la Warner Bros.TM ne sviluppò un simpatico cartone animato dal nome Taz che impersonava un diavolo di Tasmania. Era caratterizzato da un’incredibile velocità, voracità, ferocia e stupidità.


In Australia nei secoli scorsi è stato vittima di una spietata caccia da parte dell’uomo perché considerato pericoloso per il bestiame tanto, che già nel 1941, fu dichiarato specie protetta.

Sebbene non sia molto grande (con un peso massimo attorno ai 12 chili e una lunghezza di 80 centimetri) ha un aspetto che lo rende, da adulto, molto temibile.

Ha una forza masticatoria notevolissima (nove volte più forte di quella di un cane e paragonabile a quella di uno squalo o di un coccodrillo) che gli permette di divorare la preda completamente, ossa e pelliccia comprese. L’unica cosa che non mangia sono gli aculei dell’echidna.

Oggi vive esclusivamente in Tasmania mentre prima abitava anche in altre zone dell’Australia (da quattro secoli estinto). Lo scorso anno è stato inserito tra le specie a rischio a causa di una forma di tumore trasmissibile che sta decimando la popolazione.

Nel 1995, infatti gli scienziati scoprirono la diffusione di tumori facciali in questa specie di animali.

Ricerche rivelarono che tale forma neoplastica si trasmette da un individuo all’altro attraverso la lotta, il morso e altri contatti fisici.

Il tumore facciale si manifesta con formazioni neoplastiche nella zona della bocca che impediscono al marsupiale di nutrirsi portandolo alla morte per inedia.

Il Governo tasmaniano ha iniziato da tempo a monitorare la diffusione dell’infezione: infatti, attraverso la cattura degli esemplari infetti si cerca di eliminare il contagio degli orsetti ancora sani.


La riduzione degli esemplari dei “Diavoli“ preoccupa anche perché la volpe rossa, introdotta illegalmente, si sta insediando sempre di più nel territorio, causando l’ulteriore riduzione delle risorse alimentari per questo orsetto.

Una scoperta inattesa, durante gli studi ordinati dal Governo tasmaniano, è l'individuazione di alcuni degli agenti carcinogeni (potenti elementi chimici utilizzati generalmente per prevenire gli incendi) presenti negli individui infetti. Si tratta in particolare di componenti tossici come PBDE (polibrominato difenili eteri): l'esabromobifenile (BB153) ed il decabromodifenile (BDE209), l'impiego principale è quello di ridurre l'incendiabilità di oggetti quali computer, elettrodomestici e tappeti. Inoltre sono utilizzati per produrre particolari schiume usate ad esempio per i mobili.

Secondo l’International Persistent Organic Pollutants Elimination Network (IPEN), che ne ha proposto la messa la bando ai sensi della Convenzione di Stoccolma, la scoperta non è senza effetti anche riguardo alla salute umana, considerato che il rintraccio di questi elementi in zone non industrializzate dimostra la precedente sottovalutazione della loro insidiosità; in particolare, le industrie produttrici del BDE209 avevano espressamente escluso la bioaccumulazione del composto, che si era pertanto imposto sui prodotti concorrenti proprio per questa caratteristica.

venerdì 5 febbraio 2010

Carenza d'acqua


Non solo i Paesi poveri stanno lottando contro la crescente carenza d’acqua: è previsto che il problema, a breve, raggiungerà le Nazioni ricche del Mondo. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, avvisa Paesi come Stati Uniti, Spagna, Australia e Paesi Bassi a non abbassare la guardia e di far fronte alle conseguenze derivanti dai cambiamenti climatici, come la siccità, le inondazioni, gli uragani e l’innalzamento del livello del mare.

Secondo dati ufficiali degli Stati Uniti si prevede che lo stato della California, la quinta più grande economia del mondo, potrebbe assistere al declino delle aziende agricole e all’esaurimento dell’acqua nelle principali città già entro la fine di questo secolo. Il responsabile di questi stravolgimenti è senza dubbio il riscaldamento globale.

Si parla perciò dell’arrivo di una crisi mondiale delle risorse idriche e il Governatore della California, Arnold Schwarzenegger, ha confermato l’esistente emergenza siccità. Ad esempio l’aumento della siccità è una delle principali preoccupazioni in luoghi come la Spagna, l’Australia e la California, e l’innalzamento del livello del mare potrebbe essere un disastro per i Paesi Bassi. Il clima sta mutando in tutto il mondo e questa è una certezza, perciò anche noi dobbiamo necessariamente cambiare, per adattarci e sopravvivere, non pensando ai cambiamenti climatici come a qualcosa di lontano che interessa semplicemente i Paesi del Sud del mondo.

Gli scienziati dicono che entro il 2020, da 75 a 250 milioni di persone in Africa si troveranno ad affrontare la più grande carenza di acqua mai avvenuta, proprio a causa del cambiamento climatico. Nei prossimi dieci anni le piogge, già scarse in Africa, potrebbero ridursi del 50%.

Molto attento a queste problematiche è sempre stato Israele, che per far fronte al problema, oggi ricicla il 75% delle sue acque reflue e nel 2016 coprirà il 35% del suo fabbisogno grazie alla dissalazione dell’acqua di mare.

Il Paese sta investendo da anni in questo settore. Priorità numero uno: aumentare il volume d’acqua disponibile con impianti di desalinizzazione e perforazioni ancora più profonde nelle falde acquifere (fino a 1 500 metri sottoterra). Non c’è tecnologia che non sia stata studiata e sulla quale non si sia investito per trovare un rimedio alla siccità.

A sessanta chilometri a sud di Tel Aviv, sul Mar Mediterraneo, troviamo Ashkelon, un gigantesco impianto di dissalazione dell’acqua di mare. Inaugurato nel 2006, ha prodotto circa 100 milioni di metri cubi all’anno di acqua potabile per un prezzo competitivo di 0,53 centesimi per m. Ad Hadera, a nord della capitale, a breve sarà inaugurato un altro grosso impianto che produrrebbe 127 milioni di m3.

Ma per far fronte all’emergenza idrica, il Governo ha introdotto una seconda priorità: migliorare l’efficienza del sistema. I dati dicono che dal 1960, il consumo di acqua potabile è rimasto costante, nonostante l’aumento della domanda relativo alla popolazione e all’agricoltura, spiegano i funzionari governativi.

Come ci sono riusciti? Nel 1960, l’uso di acqua potabile era a scopi domestici e agricoli. Oggi, gli agricoltori sono fortemente incoraggiati ad utilizzare solo acqua riciclata. Alcune produzioni sono state semplicemente eliminate, come la coltura del cotone, che consumava troppa acqua. Con il riciclaggio del 75% delle sue acque di scarico, il paese è oggi leader nel settore a livello mondiale.


[Fonte: Le Figaro]