venerdì 29 gennaio 2010

Diserbante nell'acqua potabile

Negli USA, dove l’utilizzo di erbicidi è ampiamente diffuso, è stato scoperto il superamento dei limiti di sicurezza federali di atrazina nell’acqua potabile in quattro stati: problematica è la mancata informazione degli eventi ai clienti utilizzatori e l’assenza di pubblicazione dei dati da parte dell’EPA (Environmental Protection Agency).
L’analisi che ha messo in evidenza questi problemi è stata effettuata dall’ Huffington Post Investigative valutando circa 150 bacini idrografici nel periodo 2003-2008; ha dimostrato la violazione delle norme federali in materia di acque (almeno dieci volte) in Illinois, Indiana, Ohio e Kansas: tutti stati in cui gli agricoltori fanno molto affidamento sull’ erbicida. Inoltre, più di 40 impianti idrici in questi Stati hanno mostrato dei livelli elevati di atrazina, che normalmente avrebbero innescato la notifica automatica dei clienti: in nessuno di questi casi sono stati avvisati i residenti. Nelle interviste, i funzionari EPA non hanno contestato i dati, ma hanno dichiarato di non ritenere l'atrazina come un pericolo per la salute e hanno detto che non credevano che l'agenzia o le autorità statali avessero omesso di informare adeguatamente l'opinione pubblica. Funzionari Syngenta, la società svizzera che produce l’atrazina, hanno declinato le richieste di interviste sui risultati dei test; ma in una dichiarazione sul sito Web, la società afferma che l'atrazina non costituisce una minaccia per la sicurezza dell’approvvigionamento di acqua potabile.
Nel 2008, nessuna delle 122 “Comunità dell’acqua” monitorate in 10 stati hanno superato le norme federali stabiliti per l’erbicida nell'acqua potabile o acqua grezza.
L'atrazina è diventato un tema di preoccupazione per gli ambientalisti e le associazioni dei consumatori, dato che l'uso di erbicidi chimici è aumentato vertiginosamente negli Stati Uniti nel corso degli ultimi decenni, viene spruzzata sui campi di grano e di altre grandi colture durante i mesi estivi e può scappare nei fiumi e corsi d'acqua con l'acqua potabile.
Sulla base delle raccomandazioni dei gruppi di esperti scientifici di consulenza nel 2000 e nel 2003, l'EPA ha elencato l’atrazina come agente non cancerogeno, ma può venire considerato come potenziale disturbatore dei processi ormonali.
Al contrario, nel 2004, l'Unione Europea ha vietato l'atrazina, perché era costantemente rivelata nell’ acqua potabile. Negli ultimi anni è stata oggetto dibattiti tra scienziati sugli effetti riguardanti il sistema riproduttivo delle rane e altri animali vertebrati.

Un’indagine condotta da biologi californiani e pubblicata sulla rivista Nature, ha dimostrato che nel Midwest americano, intensamente coltivato a cereali e soia, le Rane leopardo (Rana pipiens) vengono femminilizzate da questo erbicida.
Gli scienziati di Berkeley hanno anche riportato che i maschi di rana cresciuti in laboratorio dentro contenitori contaminati sviluppano cellule uovo (oociti) nei testicoli e di fatto diventano ermafroditi.
Queste aberrazioni si osservano in presenza di concentrazioni di atrazina di 0,1 parti per miliardo (ppb), 30 volte più basse dei limiti consentiti nell’acqua potabile dalla Agenzia di Protezione per l’Ambiente. Uno dei fautori di questa scoperta conferma dati precedenti su due altre specie di rane e suggerirebbe che questo erbicida possa essere una delle cause responsabili del declino delle rane e di altri anfibi negli Stati Uniti e nel mondo. L’atrazina viene infatti usata nelle colture fin dal 1956 ed è attualmente il diserbante più usato in America.
Questo prodotto avrebbe l’effetto di femminilizzare anche i girini che successivamente si svilupperebbero in rane femmina o crescerebbero sterili. Alternativamente potrebbe favorire quei girini che hanno uno sviluppo sessuale ritardato, fino a quando non mutino in rane e siano in grado di lasciare le acque contaminate.
Sono stati campionati girini di rana leopardo in otto diverse località fra stagni, canali d’irrigazione e ruscelli del Midwest nell’estate 2001 dove hanno trovato maschi ‘modificati’ in ognuno dei posti che avesse livelli di atrazina misurabili. I siti scelti riguardano lo Utah, il Wyoming, il Nebraska e le zone di confine tra Iowa e Illinois.
Alcuni fra gli stagni sono stati scelti proprio perché situati in zone non agricole, tuttavia hanno mostrato di essere contaminati da atrazina e di essere habitat con girini femminilizzati, tranne uno che non presentava nessuna delle due caratteristiche. La zona più colpita dal fenomeno si trova lungo il North Platte River, nel Wyoming, dove la percentuale di rane maschio che mostra reversione sessuale è del 92%. Paradossalmente in questa zona si fa scarso uso di atrazina, ma nel fiume confluiscono i canali provenienti dalle grandi aziende agricole del Colorado, che invece la utilizzano in modo massiccio.


Anche quest’anno,i ricercatori hanno riportato uno studio fatto su un’altra specie di rana da laboratorio, Xenopus laevis, che presentava anch’essa caratteristiche di demascolinizzazione se cresciuta in presenza di 0,1 ppb di atrazina.
Da notare il fatto che i limiti permessi nell’acqua potabile sono di 3 ppb ed il limite proposto per l’esposizione cronica degli organismi acquatici è di 12 ppb. I girini maschio esposti all’atrazina sviluppano anormalità a livello degli organi sessuali, con il 29% che diventa ermafrodita per la presenza di cellule uovo nelle gonadi ed un terzo degli individui che presenta testicoli poco sviluppati.
Gli studiosi presumono che l’atrazina aumenti l’attività di un enzima, l’aromatasi, in grado di convertire gli androgeni, ormoni maschili, in estrogeni, ossia ormoni femminili, permettendo quindi la crescita degli oociti dove normalmente sarebbe impossibile.
L’effetto dell’atrazina sull’aromatasi è stata notata nei pesci, nei rettili e nei mammiferi, ma non lo era ancora sugli anfibi. L’atrazina è così diffusa che è possibile trovarla anche lontana dai siti agricoli e perfino nell’acqua piovana e nella neve, a volte in concentrazioni sufficienti da impedire il normale sviluppo sessuale degli anfibi, come è stato ritrovato nella pioggia e nell’acqua potabile del Nebraska.
I dati ottenuti destano serie preoccupazioni circa gli effetti di questo ed altri pesticidi che danneggiano il sistema endocrino e generano il declino degli anfibi.

L’atrazina è un potenziale distruttore della biodiversità e l’utilizzo di questa sostanza comporta rischi inaccettabili.

Fonte: ( HuffingtonPost )

lunedì 18 gennaio 2010

Terra preta, la terra che assorbe la CO2

La Terra Preta rappresenta un antico metodo per fertilizzare la terra scoperto in Amazzonia e secondo il National Geographic è stato il modo che ha permesso a grandi popolazioni di sostenersi per migliaia di anni. Lungo tutto il bacino amazzonico gli studiosi sapevano che il terreno fosse troppo acido e di riflesso poco produttivo per sfamare gli abitanti della zona, però si accorsero che certe zone coltivate erano formate da una terra dalla colorazione molto scura, molto differente dalla colorazione giallastra del suolo della zona: quella era la Terra Preta.
Attorno agli anni ‘80 si scoprì che quella terra estremamente fertile era il prodotto del lento bruciare di alberi e rifiuti legnosi.

Questa terra è stata usata per fertilizzare il suolo per secoli ripristinando aree agricole del Rio delle Amazzoni, soprattutto in modo sostenibile. Oggi le speranze riposte nella Terra preta, come per altri fertilizzanti, è attrarre alcuni funghi e microrganismi e tutte quelle piccole forme di vita che consentono alle piante di assorbire e trattenere le sostanze nutritive e mantenere l’humus e quindi il terreno fertile per centinaia di anni. I microrganismi utilizzano le varie parti dei vegetali in modo da creare una superficie dove le sostanze nutritive possono meglio attaccarsi.



Le varie università stanno studiando la Terra preta e confermano che i suoli scuri dell’area Amazzonica, ancora oggi dopo centinaia di anni, mantengono le loro sostanze nutritive e addirittura idrocarburi, che provengono principalmente dalla trasformazione della CO2.
Ciò suggerisce che l’aggiunta di Terra preta o un fertilizzante di questo tipo nel suolo potrebbe aiutare le regioni del mondo caratterizzate da suoli acidi ad aumentare le rese agricole.

Inoltre, il fertilizzante sostenibile potrebbe contribuire a ridurre la quantità di emissioni di gas serra rilasciati nell’atmosfera in quanto si è visto che la combustione del legno di un albero immette nell’atmosfera il 95% del carbonio immagazzinato dal vegetale. In presenza di Terra preta si ha una riduzione del 45-50% del carbonio rilasciato. Il resto è emesso in diversi derivati del carbonio la maggior parte dei quali sono chimicamente inerti per lunghi periodi di tempo (migliaia di anni), come nei terreni contenenti calcio e silicati il carbonio reagendo con il calcio produca semplicemente del innocuo carbonato di calcio che rimarrebbe nel suolo sotto forma di pietrisco e di polveri. La nuova Terra preta, avvenieristicamente parlando potrebbe essere iniettata sottoterra così da sequestrare la CO2 per secoli.

Fonte: (GenitronSviluppo)

giovedì 14 gennaio 2010

Volatili in tilt

Un problema poco noto ai più sugli effetti dei cambiamenti climatici è rappresentato da un condizionamento nei ritmi e nelle abitudini di una moltitudine di volatili. Questo è uno degli argomenti trattati in un Convegno “Cambiamenti climatici e disturbi di origine umana” svoltosi in Italia in ottobre 2009, con il patrocinio di WWF Italia, LIPU-BirdLife, ISPRA, Agenzia Regionale Parchi della Regione Lazio e Parco Nazionale del Circeo. Si è parlato di 2.455 specie a rischio sopravvivenza sulle 9.787 conosciute.

Oltre al fenomeno del cambiamento climatico bisogna tener conto della distruzione degli habitat e del bracconaggio. Un aumento della temperatura di 2 °C, come paventato dalla maggioranza degli studiosi, potrebbe portare entro il 2050 ad una estinzione delle specie fino al 38% solamente nel vecchio continente. Gli studi fatti a riguardo spiegano come i cambiamenti possono influire in maniera evidente e disorientare gli uccelli. Ad esempio si è visto che il Gallo Cedrone (Tetrao urogallus, Linnaeus 1758) depone le uova in anticipo e sbaglia il periodo della migrazione, anticipandola o posticipandola, inoltre spesso cambia zone spostandosi verso il nord o verso l’alto per sfuggire al caldo e alla siccità.

Un’altra specie molto diffusa in Italia è la Balia nera olandese (Ficedula hypoleuca, Pallas 1764), piccolo uccellino la cui presenza è diminuita del 90% dal 1987 al 2003 a causa di un arrivo posticipato rispetto alla disponibilità di cibo (larve di cui si nutrono). Altre varietà a rischio in Italia sono; la Pernice Bianca che vive nelle Alpi ma anche l'Usignolo e il Picchio Nero.

Cambiando zone e aree, gli uccelli trovano nuove condizioni ecologiche, nuovi predatori e a volte, come le Aquile imperiali spagnole, escono dai confini delle aree protette diventando facile preda dei bracconieri. Il cambiamento climatico favorisce il diffondersi di malattie letali come la malaria oltre a ridurre la disponibilità di cibo, mentre eventi climatici estremi come alluvioni e siccità possono causare un’irrimediabile perdita di habitat e decimare intere popolazioni di volatili. Per le specie per cui migrare è difficile se non addirittura impossibile non ci sono alternative: i galli cedroni inglesi potrebbero estinguersi nel 2050 per la scomparsa di habitat dovuta al cambiamento climatico.

Fonte: (100Ambiente)

sabato 9 gennaio 2010

Gruppo di iceberg in avvicinamento della Nuova Zelanda


La Nuova Zelanda sta attendendo, e non con poca apprensione, il passaggio al largo dell'isola Macquarie, territorio australiano a circa 900 miglia a sud est della Tasmania, di un gran numero di iceberg (si parla di circa 100). Si calcola possano distare circa a 200 chilometri dalla costa meridionale della Nuova Zelanda.

Bisogna ritornare a 78 anni fa per vedere un'evento simile a quello attuale, mentre la presenza di un singolo iceberg nei mari australiani viene datata al 2006. Gli studiosi ritengono che questo iceberg si sia staccato tra il 2000 e il 2002 dal Mare di Ross in contemporanea con quelli che si stanno avvistando oggi. Il distacco sembra dovuto ad un innalzamento di circa 3°C nella zona della Penisola Antartica vicino al Sud America.

Dalle immagini satellitari si possono notare le dimensioni del più grande che misura circa 500 metri di larghezza, 50 metri di altezza e uno spessore di 350 metri. Secondo il National Institute of Water and Atmospheric Research si stima che il maggiore del gruppo, in base ai suoi movimenti, potrà avere una durata di vita tra le 6 e le 8 settimane. Gli enormi blocchi di ghiaccio staccatisi dal Mare di Ross (piattaforma di ghiacci perenni con una superficie uguale alla Francia) senza dubbio allarmano i naviganti a sud dell’Oceano Pacifico. Gli studiosi non hanno ancora la certezza se il distacco sia dovuto al 100% al cambiamento climatico e all’aumento della temperatura sopraccitata o se potrebbe essere solamente un caso isolato.

Questi fenomeni devono essere esaminati attentamente sapendo che i ghiacci si muovono lentamente e ci mettono molto tempo per girare intorno all’Antartide sempre ci sia una certa corrente e direzione del vento per farlo arrivare in Nuova Zelanda.

Fonte: (Cnn)

lunedì 4 gennaio 2010

Grande ritiro del lago Aral

L’enorme ritiro del litorale del lago Aral si può notare in maniera evidentissima dalle immagini che vengono rilevate dai satelliti e inviate a terra dal 2006 al 2009.

A suo tempo era il quarto lago al mondo per grandezza, ma la drastica riduzione delle acque del lago Aral incominciò dopo che l’Unione Sovietica, negli anni ’60, iniziò grandiosi piani per rendere coltivabile la steppa Asiatica. I grandi fiumi del Kyrgykistan e del Tajikistan furono incanalati per irrigare i campi di cotone e di riso e quindi l’acqua dei fiumi arrivava ai campi, ma non arrivava al lago Aral.
Il porto di Aralsk , che una volta possedeva una florida industria ittica ed un porto fiorente per il commercio del cotone e dell’olio, ora e’ un deserto sporco dove magri cammelli pascolano fra i relitti di navi arrugginite adagiate sulla sabbia.

Verso la fine del 1980 il lago era caratterizzato, a nord, da piccoli bacini d’acqua controllati dal Kazakistan mentre a sud, caratterizzato da una forma a ferro di cavallo era sotto il controllo del Kazakistan e dell'Uzbekistan.
Venti anni dopo, il grande lago di Aral era semplicemente diviso in due lobi, uno occidentale e uno orientale. Si nota comunque che il ritiro, immortalato dalle immagini satellitari pervenute dal 2006 al 2009, sia stato di 70 km, portando ad una perdita di circa l’80% delle proprie acque.

In origine misurava 150 km in lunghezza e 70 km in larghezza. Secondo la previsione degli esperti la parte meridionale del lago si estinguerà del tutto entro il 2020 anche se ci sono dei progetti atti a salvare la parte settentrionale, come il progetto Kok-diga Aral , un progetto congiunto della Banca Mondiale e il governo del Kazakistan. La costruzione della diga è terminata nel 2005 e si può affermare che il livello d’acqua è aumentato nella parte settentrionale di media di circa 4 metri. Gli abitanti della zona con l’andare degli anni hanno cambiato il nome al lago, oramai è diventato Aral Karakum (deserto), in quanto l’indietreggiamento delle acque ha messo a nudo una zona di 40.000 kmq di terreno. Ogni anno, tempeste di sabbia spostano almeno 150 000 tonnellate di sale e sabbia con l’aggiunta di fertilizzanti chimici provenienti dal letto inaridito del Karakum Aral trasportandoli per centinaia di km, causando gravi problemi di salute per la popolazione locale e regionale, rendendo gli inverni freddi e le estati calde.



La Banca Mondiale, nel 2007, ha garantito al Kazakistan un altro prestito per cercare di mitigare questo enorme disastro ambientale con la messa in opera di un’altra diga che ha il compito di trattenere l’acqua alla bocca del fiume Syr Darya nella parte settentrionale, anche per ridurre la salinità che aveva annientato la popolazione ittica del lago. Possiamo dire, inoltre, che il Kazakistan, ultimo stato attraversato dal fiume Syr Darya , è stato l’unico in Asia Centrale ad aver firmato una legge internazionale sui fiumi transfrontalieri anche se gli accordi internazionali riguardanti la tutela della zona sono cessati negli anni 90’.

Fonte: (ScienceDaily)