lunedì 31 maggio 2010

Profughi ambientali


La nostra civiltà del ventunesimo secolo viene compressa sempre più dall’avanzamento dei deserti e dai mari. Infatti in alcune parti della Terra, un incremento demografico notevole, la sempre maggiore desertificazione di certe aree, oltre al previsto aumento del livello del mare possono essere considerate cause generatrici di migrazioni di massa ambientali.
Un caso conosciuto è senz’altro quello del nord Africa.
Con l’espandersi del deserto dell’Africa sub sahariana, nella zona del Sahel, molti milioni di persone sono costrette a spostarsi sia a sud che verso il nord Africa in cerca di acqua.
Nel 2006 la Conferenza delle Nazioni Unite ha previsto che per colpa del continuo aumento del deserto in Tunisia, entro il 2020, fino a 60 milioni di persone potrebbero diventare migranti per necessità.
Il deserto del Sahara sta praticamente spingendo le popolazioni del Marocco, Tunisia e Algeria a nord verso il Mediterraneo. In un disperato tentativo di prevenire la siccità e la desertificazione, il Marocco ha ristrutturato la sua agricoltura, sostituendo le coltivazioni di cereali con frutteti e vigneti che necessitano di minore irrigazione.
Come ben si sa il flusso migratorio dall’Africa in tutte le direzioni è già in atto da molti anni.
Grandi problemi troviamo anche in Somalia, sia di natura politica che ambientale.
Oltre ad una notevole sovrappopolazione, un errore umano è stato compiuto ed è quello di un utilizzo esagerato dei pascoli, distruggendo perciò l’economia pastorale e reso brulle molte zone del Paese.
Dal 2007 in poi, la percentuale annua di migranti somali che si sono diretti nello Yemen, per essere ospitati, è costantemente aumentata .
In questa maniera, abbandonati i loro problemi in Somalia, ne hanno creato sicuramente alle risorse idriche yemenite, che sono sempre più carenti.
Ho accennato alcuni dei tanti casi del continente africano, ma chi vive in America centrale non è esente da queste problematiche.
In America Latina, i deserti si stanno espandendo e costringendo le persone a spostarsi sia in Brasile che in Messico. In Brasile, circa 66 milioni di ettari sono colpiti, in gran parte concentrati nel nord-est del paese. Mentre in Messico, con una quota molto maggiore di terre aride e semiaride, il degrado del terreno agricolo si estende ormai oltre 59 milioni di ettari.
Honduras, Guatemala, Nicaragua, El Salvador hanno migliaia di persone pronte ad utilizzare il Messico come porta d’ingresso per gli Stati Uniti per dare una svolta alla loro vita.
Gli stessi messicani vedono quel confine come una linea vitale che giornalmente tentano di oltrepassare.
Si parla di 100.000 messicani all’anno che sono costretti ad abbandonare le loro terre perché gli appezzamenti sono troppo piccoli, erosi e con falde acquifere sempre più scarse, diventando improduttivi.
Il confine lascia purtroppo molte vittime sul campo in quanto per attraversarlo e per eludere i controlli della polizia bisogna sfidare il deserto.
Migrazioni dovute alla carenza idrica le troviamo nel nord-ovest dell’India, in Cina occidentale, in Iran, dove milioni di persone devono abbandonare i loro villaggi perché le falde acquifere sono oramai esaurite.
Giornalmente, i mass-media ci informano di casi analoghi sparsi per il globo e noi non possiamo che sperare solamente che i Governi interessati riescano sia politicamente che economicamente creare dei presupposti per una vita più “umana” a questi milioni di sventurati.


Fonte: (Celsias)

sabato 22 maggio 2010

Acquacoltura in miniera


Si è vero! Nel West Virginia hanno pensato di sfruttare le vecchie miniere di carbone dismesse per intraprendere una attività di acquacoltura. Per questo utilizzo si necessita di molta acqua e, a quanto pare, le miniere ne hanno in abbondanza. Le analisi dicono che, nella maggior parte delle miniere, l’acqua è perfettamente pulita e ideale per l’allevamento delle trote e del salmone. Molte persone sono un po’ riluttanti nel scegliere di consumare dei pesci allevati in caverne o pozzi, ma l’azienda che li alleva assicura che sono sicuri. Le cavità si riempiono di acqua piovana e neve sciolta e nel West Virginia meridionale intendono sfruttarle in maniera intensa, sempre tenendole sotto controllo, analizzando l’acqua in maniera costante. Le aziende interessate all’iniziativa, tra le quali la “ Blue Ridge Inc.”, andranno a utilizzare una mezza dozzina di miniere che pensano abbiano una capacità di produrre 1 milione di libbre di pesce ogni anno. Una parte della produzione diventerà materiale per la pesca sportiva, mentre la parte rimanente sarà destinata a ristoranti e negozi di generi alimentari. In West Virginia salmoni e trote, per esempio, stanno diventando per la prima volta pesci d'allevamento “eco”, senza ormoni della crescita o antibiotici in acqua.


Fonte: ( Newstribune )

domenica 16 maggio 2010

Diverso utilizzo dell'osmosi


In India c'è una quantità enorme di fiumi inquinati e nel distretto di Pune il Governo sta cercando di bonificare il Mula, il Mutha, il Pawna e il Bhima, oramai invasi da scarichi di tutti i tipi, da quelli chimici e industriali a quelli fognari.
L’acqua che arriva in circa 300 villaggi nella zona di Pune e 26 villaggi nella zona di Taluka Shirur, è inutilizzabile sia per un consumo umano che per l’irrigazione dei campi.
La Commissione inviata dal Governo, resasi conto anche visivamente del problema (sottile strato di olio sull’acqua), si è messa al lavoro cercando di collaborare con le industrie che riversano gli scarti di lavorazione, cercando di indurle a utilizzare trattamenti di depurazione.
Ma la novità del Governo è soprattutto l’idea di utilizzare, su base sperimentale, la tecnica dell’osmosi inversa.
E’ un processo che viene comunemente usato per la desalinizzazione del mare, in quanto l’osmosi inversa porta ad una separazione del sale dalle molecole dell’acqua.
Il metodo di filtraggio rimuove le grandi molecole in acqua facendo pressione su un lato di una membrana selettiva e quindi fa passare il solvente puro dall’altra parte.
Lo studio di fattibilità economica del progetto ha dato buoni risultati, anche se bisogna tener conto che l’acqua da”pulire” è notevole in quanto il 40-45% delle acque fognarie non trattate di Pune scaricano direttamente nei fiumi. Le proiezioni avvertono che ci vorranno tranquillamente altri 3 anni per trattare il 100% delle acque reflue.

In un’altra parte del mondo invece si è pensato di utilizzare l’osmosi per produrre energia.
In Norvegia nel 2009 si è creata una centrale elettrica derivata dallo sfruttamento dell’energia osmotica, una nuova energia pulita ricavabile dal flusso dell’acqua, da una soluzione a concentrazione salina minore (acqua dolce) ad una maggiore (acqua salata) in corrispondenza delle foci dei fiumi.
Si genera energia sfruttando la pressione idrostatica che si crea quando l’acqua dolce passa attraverso una speciale membrana di acqua salata.
I norvegesi (Statkraft) come gli olandesi (Wetsus), sono ricchi di regioni in cui acqua salata e acqua dolce si incontrano.





La Statkraft stima che l’Europa ha un potenziale osmotico per una potenza pari a 180 TWh all’anno, ovvero circa il 50% dell’energia elettrica attualmente prodotta all’interno dell’Unione Europea.

Fonte: ( Expressindia )

giovedì 6 maggio 2010

Rilascio di metano in Siberia

La ricerca riguardante la fuoriuscita di metano dalla crosta Artica siberiana è il frutto della collaborazione fra l'Accademia Russa delle Scienze e l'Università dell'Alaska-Fairbanks. Si basa sui dati raccolti dal 2003 al 2008 e relativi alle condizioni della piattaforma artica della Siberia orientale. Gli studiosi non hanno dubbi che il terreno permanentemente ghiacciato (permafrost) stia dando segni di instabilità, lasciando sfuggire il metano che imprigiona. Finora si riteneva che il permafrost, compatto e durissimo, fosse una barriera impermeabile, ma i dati pubblicati su Science evidenziano che esistono delle falle attraverso le quali il metano fuoriesce.

Fonti qualificate del Centro Internazionale per la ricerca sull'Artico dell'Università dell'Alaska-Fairbanks affermano che il permafrost sottomarino sta perdendo la sua capacità di protezione impermeabile.

Nel periodo dell’ultima glaciazione la vegetazione della tundra, quando l’area era al di sopra del livello del mare, è riuscita a trattenere quantità enormi di anidride carbonica dall’aria durante il periodo di sviluppo delle piante. Gran parte del prodotto organico non si è mai decomposto , il restante intrappolato sotto l’area Artica ghiacciata, rappresenta ora la fonte di metano. Ma come il ghiaccio all’interno del permafrost si scioglie, le piccole bolle bloccate nel suolo salgono attraverso l’acqua di questi laghi e si rilasciano nell’atmosfera, con serie conseguenze sul clima.

Il metano, uno dei gas responsabili dell’effetto serra, si sta diffondendo dalla crosta Artica nell'atmosfera al ritmo di circa 8 milioni di tonnellate l'anno, la stessa quantità che attualmente viene prodotta dagli oceani di tutto il mondo.

Il metano che fuoriesce dall'Artico è l'idrato di metano, un componente che si presenta sotto forma di ghiaccio e che giace nei fondali degli oceani e nei territori molto freddi sotto il manto terrestre.

Questi si formano dal contatto di piccole molecole di gassose (metano) e l’acqua, in presenza di temperature prossime a 0°.

Il cambiamento del clima e il riscaldamento delle acque, provocati dall'effetto serra, producono uno scioglimento di questa formazione solida che, a poco a poco, sta sprigionando dei gas, i quali, entrando a contatto con l'ossigeno, alimentano ulteriormente l'effetto serra.

Una caratteristica è quella che, in condizioni di temperatura e pressione normali, un metro cubo di idrato produca circa 160 metri cubi di metano.

Con l’esaurimento dei combustibili fossili si potrebbe pensare ad un utilizzo degli idrati di metano, come futura energia alternativa. Già nel 1971 la Federazione Russa ha iniziato a sfruttare abbondantemente il grande deposito di gas idrato di Messoyakha. Oltre all’uso degli idrati esistenti, sperimentarono con successo, già nel lontano 1962 che i clatrati idrati possono trovare applicazioni nelle tecnologie della desalinizzazione dell'acqua di mare.

Per concludere possiamo dire che la geologia ci riporta almeno due volte indietro nella storia per trovare eventi simili a quelli attuali: la più recente di queste calamità si è verificata circa 55 milioni di anni fa in quello che i geologi chiamano il Paleocene–Eocene, quando una bolla di metano (blowout) ha provocato un rapido riscaldamento del pianeta fin tanto da sconvolgere il clima per più di 100.000 anni. L’altro episodio catastrofico si è verificato 251 milioni di anni fa, alla fine del periodo Permiano, quando una serie di bolle di metano erano vicine a cancellare tutte le forme di vita sulla Terra. Più del 94% delle specie marine presenti in quel record di fossili sono scomparse improvvisamente.

PS: Se vi piace leggere e l'argomento dell'articolo vi ha incuriosito, consiglio "Il quinto giorno" di Frank Schätzing.

Fonte: (Science)