lunedì 28 dicembre 2009

Los Alamos e le scorie nucleari


Purtroppo i ricordi delle bombe sganciate a Hiroshima e Nagasaki affiorano dopo più di 60 anni. Dopo la tragedia c’era la necessità di stoccare i detriti letali. Si pensò di portarli in una zona desertica e isolata: scelsero un altipiano, non in Giappone, ma nel New Mexico dove crearono "Los Alamos National Laboratory". Dopo tutti questi anni qualcosa è cambiato e, tragicamente, ci si è accorti che i rifiuti interrati in montagna incominciano a scivolare verso le falde acquifere, sorgenti e ruscelli che portano l’acqua a 250.000 persone. Le montagne, molto fratturate, non sono riuscite più a contenere i rifiuti e questi pian piano sono arrivati a lambire il Rio Grande. Per adesso sembra che l’inquinamento del fiume non sia allarmante, ma pare che si siano trovati dei composti organici come il perclorato, un elemento importante del razzo propulsore e altri elementi radioattivi. Molte persone non sono convinte delle affermazioni fatte dai responsabili del laboratorio che spiegano che l’acqua che scende dalla montagna passando per i canyon e poi al Rio Grande è senza dubbio inquinata ma dicono si diluisca molto rapidamente o si sedimenti sul fondo, in maniera facilmente asportabile.

Il rapporto del Center for Disease Control and Prevention, afferma che c’è stata da parte loro una sottostima riguardante le sostanze conservate nello specifico il plutonio e il trizio dal 1940 ad oggi. Un'altra ammissione arriva dal Dipartimento dell’Ambiente che asserisce di aver rilevato in una falda acquifera che porta l’acqua potabile a Los Alamos e a White Rock del DEHP, un materiale che viene utilizzato per produrre esplosivi e plastiche. La sostanza trovata risulta presente in una percentuale 12 volte superiore al consentito e purtroppo risulta essere un materiale cancerogeno che colpisce i sistemi riproduttivi.

Un altro problema è derivato anche dalle acque utilizzate nell’arco degli anni per la costruzione delle bombe, rilasciando isotopi radioattivi nel Rio Grande. I costi per una bonifica della zona sono enormi, si parla di 13 miliardi di dollari ma gli eventuali lavori di bonifica con gli scavi e le asportazioni dei materiali alzerebbero enormi nubi di polveri tossiche che potrebbero innescare ulteriori problemi.

Fonte: ( Los Angeles Times)

sabato 19 dicembre 2009

L'enorme sviluppo cinese dato dallo sfruttamento del carbone

Non solo la Cina utilizza il carbone come elemento principale di sviluppo industriale ma il 75% della energia elettrica prodotta nel mondo utilizza la nera roccia per far funzionare caldaie a livello industriale che casalingo. Comunque il grande utilizzo di carbone in Cina rappresenta un grande aiuto ma anche un serio problema. Il prezzo che i cinesi devono pagare è enorme in termini di inquinamento ambientale e di morti nelle miniere (le statistiche parlano di un numero di circa 4000 all’anno) e di problemi di salute.

L’inquinamento atmosferico è tangibile in moltissime zone della Cina. Molte sono le città come Zhengzhou nella provincia di Henan dove, se non verranno effettuati dei cambiamenti radicali a livello di emissioni, i cittadini continueranno a non vedere neanche un giorno all’anno il cielo azzurro. Anche a Pechino dove comunque esiste il divieto di combustione del carbone, il problema dell’atmosfera molto spessa esiste in quanto qua ci pensa l’inquinamento delle automobili e le fabbriche. Questo enorme inquinamento che rappresenta circa il 15% dell’inquinamento atmosferico globale rappresenta anche un costo di 100 miliardi di dollari per curare i cittadini affetti da malattie respiratorie.

La Cina comunque è sempre stata una grande utilizzatrice di carbone; si trovano degli scritti di Marco Polo che narrano dell’ utilizzo di questa pietra nera in certe zone della Cina per scaldarsi. Attualmente la Cina estrae 2.5 miliardi di tonnellate di carbone l’anno che viene utilizzato dalle 541 centrali termoelettriche che producono 554.420 megawatt. La fame di energia della Cina non ha mai fine nonostante si apra una centrale elettrica alla settimana per poter far fronte al fabbisogno del miliardo abbondante di cinesi. Il grande paese orientale comunque cerca con dei progetti, che non si sa se porteranno a dei risultati soddisfacenti, di ridurre il 10% entro cinque anni eliminando i piccoli impianti a carbone più obsoleti per sostituirli con nuovi di maggiore grandezza ma logicamente più efficienti.

Il governo di Pechino inoltre ha lanciato un progetto pilota per affrontare il problema di catturare e immagazzinare il biossido di carbonio prodotto utilizzando il carbone come combustibile per la generazione di elettricità nelle proprie centrali elettriche. Il progetto partirà dalla città di Tianjin dove si costruirà un impianto a gassificazione integrata a ciclo combinato (IGCC) .L’iniziativa tende a recuperare tutti i gas inquinanti prima che il carbone sia utilizzato. L’impianto IGCC sarà in grado di produrre 250 megawatt di energia elettrica. Questa strategia si pensa potrà ridurre di molto le piogge acide dovute alle emissioni di biossido di zolfo addirittura del 90%, oltre alla riduzione del 75% della creazione di smog dovuta agli ossidi di azoto e per ultimo la cattura dell’80% delle emissioni di CO2 normalmente prodotti dalla combustione, puntando a stoccarla nei campi petroliferi esauriti entro il 2015. La società costituita per questo scopo è la GreenGen passata al primo posto al mondo come specializzata nella tecnologia del carbone pulito.

Fonte: (GenitronSviluppo)

domenica 13 dicembre 2009

Scioglimento dei ghiacciai in Cina e in Tibet


I ghiacciai della catena dell’Himalaya (considerati come il “Terzo polo”), che fungono da fonti di approvvigionamento d’acqua a delle popolazioni asiatiche si stanno sciogliendo a un ritmo allarmante. Secondo un recente rapporto conseguente ad uno studio di alcuni anni portato a termine e utilizzato dal China Geological Survey Institute, dimostra che i ghiacciai della zona di origine dello Yangtze, al centro del Qinghai-Tibet, nel sud-ovest della Cina, si sono ritirati 196 chilometri quadrati, nel corso degli ultimi 40 anni. I ghiacciai alle sorgenti dello Yangtze, il fiume più lungo della Cina, ora coprono 1.051 chilometri quadrati, rispetto ai 1.247 chilometri quadrati nel 1971, una perdita di quasi un miliardo di metri cubi di acqua, mentre la lingua del ghiacciaio Yuzhu, la più alta del Kunlun Mountains è sceso da 1.500 metri nello stesso periodo. I Paesi più industrializzati, non concentrando i loro sforzi sulla riduzione delle emissioni dei gas serra, sono senza dubbio il principale motivo di questa causa.
Il ritiro dei ghiacciai è diventato un problema per l'ambiente in Tibet, in particolare nella regione del Chang Tang del Tibet comportando gravi rischi per i mezzi di sussistenza ai nomadi locali e per l'economia locale. La conseguenza più comune è che i laghi sono in aumento a causa del ghiacciaio e tanti fiumi si ricostituiscono grazie all’enorme acqua a disposizione, allagando molto spesso alcuni dei pascoli migliori. Inoltre i ghiacciai più piccoli stanno scomparendo a causa dell’elevata velocità di fusione. Il rapido disgregarsi dei ghiacciai e le piogge a carattere alluvionale stanno mettendo a rischio la vita e le risorse della popolazione tibetana attente al dramma in atto nelle regioni himalayane. Nel territorio himalayano hanno origine i più importanti fiumi asiatici come la Yangtze, il Mekong e l’Indus che forniscono acqua a milioni di persone e svolgono un importante ruolo nella circolazione atmosferica globale, nell'irrigazione e nella produzione di energia elettrica. Senza dubbio lo scioglimento dei ghiacci e delle nevi dell'Himalaya, unitamente al cambiamento della natura avrà conseguenze disastrose per milioni di persone (per l'esattezza un miliardo e trecentomila) che vivono grazie all'acqua dei fiumi che hanno origine nella regione.
Un segno del cambiamento del clima è costituito dal mutamento del carattere e della frequenza delle piogge che, assieme alla diminuzione della neve e del ghiaccio, potrebbero mettere a rischio la reperibilità dell'acqua per l'irrigazione con conseguenze catastrofiche per l'agricoltura. Altri segnali avvertono che il clima è cambiato: per la prima volta, a 3.500 metri, sono apparse le zanzare e al campo base dell'Everest sono comparse le mosche, mai presenti a quell'altezza. I nomadi tibetani sono costretti a spostare le loro mandrie sui pascoli alpini con largo anticipo rispetto al passato e in vaste zone del loro territorio è in atto un processo di desertificazione. Ci sono circa 15.000 ghiacciai del Plateau tibetano , zone dove l’aria e le temperature gelide fino a 7200 metri facevano ritenere che il ghiaccio potesse essere esente dagli effetti del cambiamento climatico globale.

Fonte:( ScienceDaily )

mercoledì 9 dicembre 2009

Rimboschimento in Gran Bretagna




Ogni tanto arriva una bella notizia e questa volta parte dal Corpo Forestale di Sua Maestà la Regina.
Gli inglesi, a quanto pare, hanno semplicemente pensato che se ridurre la CO2 (anidride carbonica) in base ai dettami fissati dalle convenzioni internazionali è un cosa molto difficile, se non impossibile, allora la CO2 la faranno assorbire agli alberi. Hanno perciò dato via ad un programma di rimboschimento di 23 mila ettari di alberi. Per facilitare il calcolo mentale possiamo dire che 23 mila ettari rappresentano circa 30.000 campi di calcio. Si ricorda che è la prima volta che uno Stato pensa a risolvere il problema CO2 con questo provvedimento. Il capo del Comitato Scientifico del Corpo Forestale, Sir David Read “Professor of Plant Sciences at the University of Sheffield” è uno dei maggiori promotori di questa iniziativa che sfrutta il naturale coinvolgimento degli alberi per risolvere il problema CO2 senza effetti collaterali negativi. Inoltre, questo rimboschimento porterà altri vantaggi secondari ma molto importanti come: produzione di legname, biomassa per produrre energia e un ripopolamento di terreni oggi in disuso o disboscati e a rischio idrogeologico. Non si è ancora a conoscenza della tipologia di pianta che verrà collocata anche se si parla di una varietà autoctona pur non escludendo una scelta di alberi europei con caratteristiche migliori riguardo l’assorbimento della CO2. Se tutto questo verrà in realtà messo in pratica, il progetto dovrebbe concludersi nel 2050 con lo sviluppo degli alberi oramai completato. La copertura boschiva e forestale della Gran Bretagna, inoltre, passerebbe da una percentuale del 12% ad una del 16%. Una cifra sempre comunque inferiore a quella del resto dell’Europa, che vanta il 37% di territorio ricoperto da alberi.

Fonte: (100Ambiente)

sabato 5 dicembre 2009

Tsunami alle isole Samoa

Uno tsunami generato da un terremoto di 8 gradi della scala Richter ha provocato molte vittime nelle isole Samoa americane. Interi villaggi sono stati spazzati via dalla furia delle acque. Il sisma è avvenuto alle 19.48 ora italiana (le 6.48 di martedì 29 settembre 2009 ora locale) nell'Oceano Pacifico a circa 200 km a sud-ovest delle isole Samoa. Il centro del sisma è stato posizionato a 18 km di profondità e si tratta del sisma più forte al mondo dal 12 settembre 2007, quando avvenne un terremoto di 8,5 Richter a sud-ovest di Sumatra, in Indonesia.In quella tragica occasione il sisma spinse l’intera isola di Sumatra, a circa 100 metri a sud ovest. Quest’ultimo è stato il più forte sisma degli ultimi 40 anni e il quinto a partire dal 1900. Le aree che sono state colpite sono quelle vicine all’Oceano Indiano : India, Sri Lanka, Malesia, Bangladesh, Thailandia, Indonesia e Maldive. Gli tsunami generati per la maggior parte nella zona dell'Oceano Indiano si propagano verso le coste sud-ovest di Giava e Sumatra, perché la placca Indo-Australiana è in subduzione sotto la placca eurasiatica al suo margine orientale.

SUBDUZIONE: La zona dove è avvenuto il movimento tellurico è geologicamente molto complessa è posta al confine tra la placca pacifica e quella australiana in un area che in realtà si divide in una serie di microplacche che si muovono l'una rispetto alle altre. In generale si può dire che la placca pacifica subduce (sprofonda sotto) quella australiana. La placca pacifica si muove verso ovest a una velocità di 8,6 cm all'anno. Il confine scorre più o meno in direzione est-ovest, ma la zona dove c'è stata la scossa (l'epicentro preciso è stato localizzato a 15,56° Sud e 172,07° Ovest) fa da perno e la direzione del contatto tra le placche cambia e passa da nord-est verso sud-ovest. Dopo il terremoto la frattura si è estesa e si sono registrate scosse (la più forte delle quali di 5,9 gradi) a ovest della linea di subduzione a conferma del movimento verso la profondità della zolla pacifica. Uno tsunami, che a volte a torto viene definito come un maremoto, è una serie di grandi onde create quando terremoti sottomarini determinano un movimento improvviso del fondo marino. Il movimento del fondo marino genera un impulso improvviso che provoca uno spostamento della colonna d'acqua in senso verticale. Il risultato è un lungo treno di onde. Come l'onda si avvicina alle acque poco profonde, rallenta, ma l'energia dell'onda rimane costante. Questa azione induce l'onda ad aumentare in altezza, anche più di 30,5 metri (100 piedi) in alcuni casi. Mentre i terremoti possono essere devastanti, di particolare interesse per i residenti delle zone costiere sono i sisma generati da onde o spesso definito come lo tsunami, che significa "onda del porto". Le autorità parlano di almeno 10.000 persone uccise dopo il terremoto nella zona di Sumatra.

La storia racconta che anche in Italia e in mediterraneo:

Circa 8000 anni fa un gigantesco tsunami devastò il mediterraneo interessando le coste della Sicilia orientale, l'Italia meridionale, l'Albania, la Grecia, il Nord Africa dalla Tunisia all'Egitto, spingendosi sino alle coste del vicino oriente dalla Palestina, alla Siria ed al Libano. La causa fu lo sprofondamento in mare di una massa di 35 chilometri cubi di materiale, staccatosi dall'Etna, in seguito ad un sisma di eccezionale magnitudo. L'onda iniziale che si generò era alta più di 50 metri e raggiunse le propaggini estreme del Mediterraneo orientale in 3 o 4 ore, viaggiando alla velocità di diverse centinaia di chilometri orari. Tale sconvolgimento determinò la scomparsa improvvisa di numerosi insediamenti costieri di epoca neolitica, come è stato dimostrato dai ritrovamenti archeologici sulle coste di Israele. Lo studio che ha portato alla dimostrazione di questo evento cataclismico è stato condotto dall'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, con finanziamento del Dipartimento di Protezione Civile, nel 2006.
In epoca abbastanza recente varie fonti riferiscono di uno tsunami a seguito del terremoto della Val di Noto, del 1693, quando una gigantesca ondata devastò le coste orientali della Sicilia dopo che il mare si era ritirato di centinaia di metri. In questo caso l'epicentro del sisma si ritiene fosse situato sotto il fondo del mare, una trentina di km, al largo di Augusta. Il terremoto di Messina del 1908 innescò un maremoto di impressionante violenza che si riversò sulle zone costiere di tutto lo Stretto di Messina con ondate devastanti stimate, a seconda delle località della costa orientale della Sicilia, da 6 m a 12 m di altezza. Lo tsunami in questo caso provocò molte più vittime del terremoto. Un movimento dell'acqua di dimensioni più contenute rispetto ad uno tsunami si verificò nel dicembre 2002 nel Mar Tirreno. Seppur di piccole dimensioni, l'onda generata, alta alcuni metri, distrusse parte delle zone costiere abitate di Stromboli e causò danni e disagi alla navigazione.

Fonte:(Wikipedia) (New Scientist)