martedì 25 gennaio 2011

Aperto nel Regno Unito il più grande parco eolico offshore del mondo

A settembre del 2010 è stato inaugurato a Thanet, al largo della costa del Kent, il Parco Eolico da 100 turbine, un grande primato per il Regno Unito riguardo le energie alternative.

Questo progetto offshore mostra al mondo che la Gran Bretagna genera più energia dal vento rispetto al resto del mondo messo insieme.

La centrale eolica, che è localizzata a circa 12 chilometri dal lago di Foreness Point, nel Kent, è situata sulla costa orientale del paese e può vantare ben 100 aerogeneratori, di cui ognuno presenta circa 3 MW di potenza; l’altezza massima di ciascun aerogeneratore è pari a 115 metri e, nel complesso, i cento aerogeneratori riescono a sviluppare una potenza pari a 300 MW e coprono una superficie pari a 35 chilometri quadrati, in acque profonde al massimo 25 metri. E’ potenzialmente in grado di fornire energia elettrica sufficiente ai bisogni di 200.000 abitazioni.

Fortunatamente Thanet non rimarrà il “più grande del mondo” ancora per molto tempo, in quanto, proprio lungo la stessa costa, è in progetto l’offshore Greater Gabbard con le sue 140 turbine, che sarà seguito dall’ancora più grande sistema di London Array nell'estuario del Tamigi. Una volta completato questo potrebbe generare 1000MW.

Anche altri paesi stanno investendo molto denaro in progetti, come in Svezia a Markbygden, vicino alla città di Piteaa, nel Nord del Paese. Sono stati destinati più di 900 milioni di euro per costruire un bestione da 8-12 terawatt ora per anno, con 1.101 turbine alte fino a 200 metri e distribuite su un’area di circa 450 chilometri quadrati.

I 300 MW prodotti dalla centrale eolica offshore di Thanet, uniti all’ampliamento della centrale eolica di Crystal Rig in Scozia, portano la Gran Bretagna a possedere una capacità di generare energia eolica pari a 5 Gigawatt. Il precedente governo laburista ha sottoscritto un obiettivo UE che indica come obiettivo da raggiungere il 15% di energia derivata da fonti rinnovabili entro il 2020, il che significa circa il 40% dell'elettricità dovrà provenire da eolico, solare, geotermico, maree e delle biomasse con la parte del leone proveniente dal vento. I critici temono che i continui problemi con ritardi di licenza edilizia per turbine eoliche, e la natura "intermittente" del vento, provochi alla Gran Bretagna delle difficoltà a raggiungere questi obiettivi.

Fonte: (Guardian)

domenica 16 gennaio 2011

Ricordiamoci Bhopal


Una immane tragedia sconvolse più di 25 anni fa l’India (notte tra 2 e il 3 dicembre 1984) e più precisamente gli abitanti di Bhopal.

Una fabbrica di pesticidi ( Union Carbide oggi Dow Chemical) fece fuoriuscire in forma gassosa una nube tossica di 40 tonnellate di isocianato di metile.

Nei primi 3 giorni morirono dalle 8 alle 10.000 persone, mentre altre 25 mila morirono in seguito alle complicazioni.

Le migliaia di sopravissuti hanno trascorso questo lungo periodo di oltre un quarto di secolo in condizioni precarie per i postumi che hanno intaccato le vie respiratorie, causato problemi neurologici, della pelle e degli occhi.

Il gas disperso ha inquinato il territorio, le falde acquifere e nell’acqua che scorre vicino all’impianto è stato rilevato un contenuto di pesticidi del 40% superiore alle normative indiane mentre un altro campionamento evidenziava una percentuale di ben 2400 volte superiore alle normative internazionali. Mi limito a ricordare questa tragedia anche se non posso esimermi dal denunciare il trattamento che la società Union Carbide ha riservato dopo anni di dibattimenti in tribunale ai sopravissuti con problemi.

Il problema è stato risolto con un indennizzo di 470 milioni di dollari, cifra irrisoria rispetto ai 10 miliardi di dollari calcolati dalle commissioni competenti.

Purtroppo, troppo spesso si denunciano in tutto il mondo fuoriuscite di sostanze “sconosciute” da impianti chimici, dando la sensazione ai cittadini che a quanto pare tragedie come Bhopal si dimenticano molto facilmente.

Venticinque anni dopo Bhopal, migliaia di sopravvissuti e gli abitanti locali sono ancora in attesa di giustizia, e milioni di persone in tutto il mondo non sono adeguatamente informati in merito o protetti da prodotti chimici usati vicino alle loro case. Abbiamo bisogno di fare un lavoro migliore con la sicurezza chimica, perché le conseguenze del fallimento sono tragiche.

Fonte: (Scienceblogs)

martedì 11 gennaio 2011

Una nuova plastica a base di latte e argilla

Dal mais e dallo zucchero sono già state costruite delle bio plastiche, ma oggi all’Università di Cleveland si sta creando un prodotto molto simile al polistirolo, derivante da proteine del latte e dall’argilla, chiamato Aeroclay.

A breve potrebbe sostituire il famoso Styrofoam, usato per gli imballaggi ma derivato dal petrolio.

Le ricerche fatte dal team di Cleveland, con a capo il ricercatore David Schiraldi, sono iniziate con una lunga serie di test che consistevano nel mescolare dell’argilla liofilizzata (materiale facilmente recuperabile in natura e a basso costo) con varie sostanze. Quando si è arrivati al punto di unirla con il latte (caseina proteina del latte vaccino), si sono accorti che il risultato era un materiale soffice e leggero simile al polistirolo.

Il procedimento messo a punto dal gruppo di studiosi è basato sul mettere una pallina di argilla e un po’ d’acqua in un frullatore e dopo due minuti aggiungere della polvere di caseina.

Il risultato è stato una pallina a base di glicerina che ulteriormente messa a congelare come classici cubetti di ghiaccio e poi liofilizzati, ha prodotto un materiale simile al polistirolo però al 98% naturale.

Il prodotto è molto interessante ma ancora da migliorare, in quanto lo Styrofoam è praticamente eterno, mentre i test hanno messo in evidenza che il nuovo prodotto dopo 45 giorni circa si decompone.

Speriamo di vedere a breve questa innovativa bio plastica anche se oltre alla sua limitata durata, ci sono altre cose da verificare come i non sottovalutabili costi di produzione e non per ultimo, l’odore che potrebbe emanare il materiale, simile al latte acido.

Fonte: (Genitron)

domenica 2 gennaio 2011

Israele in aiuto della fame in Africa


Da molti anni lo Stato d'Israele è diventato uno Stato leader nello sviluppo di sistemi irriganti “goccia a goccia”, sfruttati per diminuire l’utilizzo d'acqua in agricoltura. La grande esperienza israeliana è frutto di ricerche atte a risolvere il problema idrico, essendo un Paese molto arido.

La percentuale di aridità è dell’ordine del 47%, senza calcolare la zona del deserto del Negev che porterebbe la percentuale al 60%. Molte zone anche dell’Africa sub-sahariana hanno giornalmente a che fare con il connubio di due parole derivate dalla carenza o assenza di acqua come: aridità e povertà.

La tecnologia “goccia a goccia” sviluppata dall’ Università Ben Gurion del Negev in collaborazione con la Società Netafim, specializzata in irrigazione, riunitesi nel Programma internazionale per le Zone Aride, hanno deciso di esportare la loro esperienza e la tecnologia in favore di alcuni villaggi in Africa. La tecnologia è molto semplice e come viene utilizzata in Israele così viene sfruttata dai piccoli agricoltori del Niger ad un basso costo.

Ad esempio, le donne del villaggio Tanka in Niger si sono riunite in una cooperativa e utilizzando la tecnologia israeliana riescono a coltivare pomodori, melanzane e altre verdure che vengono vendute nei mercati vicini, triplicando il loro reddito, consentendo alle loro famiglie una alimentazione corretta e la possibilità economica di poter far frequentare ai figli una scuola. L’aiuto israeliano non si limita al Niger, ma esistono varie cooperazioni con altri Stati africani.

In Senegal l’Ambasciata israeliana sta sviluppando con alcune società che si interessano di servizi idrici locali, la realizzazione di sistemi che porteranno ad un aumento del 400% la produttività del terreno.

La stessa cosa viene fatta in Sud Africa con ditte locali in zone molto povere come a Eastern Cape. Le Istituzioni israeliane ritengono che con questi aiuti tecnologicamente innovativi, molti piccoli agricoltori del mondo possono sicuramente migliorare le loro condizioni di vita e sicuramente contribuire a ridurre fame e povertà.

Fonte: (Celsias)