domenica 20 febbraio 2011

Forse si parte


In effetti il 2011 porta notizie buone dopo anni di discussioni e polemiche: sembra che il mastodontico progetto Desertec stia partendo.

Il progetto Desertec prevede l'utilizzo di tante forme di energia pulita come maree, onde, biomasse oltre all’ eolico, al fotovoltaico e al termodinamico.

Insomma un grande meccanismo che si muove nella direzione di una vera sfida per rilanciare le energie rinnovabili come produttori primari di energia.

Il programma eolico ha l'obiettivo di alimentare dei grandi generatori a elica con il forte e costante vento che soffia nel nord dell’ Europa e che interessa la Gran Bretagna, Irlanda, Svezia, Danimarca, Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e Norvegia.

Per accumulare questa energia eolica prodotta in surplus, hanno pensato di creare delle barriere naturali date dai fiordi norvegesi.

Questi saranno sbarrati con dighe realizzando dei bacini idroelettrici alimentati con l'acqua pompata per mezzo dell'energia eolica in eccesso, per poi rialzare le dighe e sfruttare l'effetto cascata con la conseguente produzione di energia nelle turbine a valle, quando l'energia eolica è in difetto rispetto alla richiesta globale.

Passando dal nord Europa al nord Africa, lo sfruttamento passa dall’eolico al solare, dove da anni si parla e si studia per sfruttare l’energia solare della zona sahariana.

L’idea si basa sul fatto che la produzione di energia solare che arriva in circa 6 ore nel continente africano rappresenta la quantità di energia solare eguale a quella consumata in tutto il globo in un anno.

I calcoli dicono che basterebbe coprire con impianti solari solamente lo 0,3% dei deserti nordafricani e mediorientali per poter fornire energia all’intera Europa oltre che al fabbisogno delle zone produttrici.

In questo gigantesco piano di lavoro l’interesse italiano viene rappresentato da tre società italiane come: Terna, Enel, e Italgen (Italcementi). Queste contribuiranno alla costruzione nella zona del Maghreb di centrali fotovoltaiche.

Gli impianti solari nel progetto Desertec, promosso dal fisico Gerhard Knies, si basano sulla tecnologia solare termodinamica, quella già attuata da Rubbia nel progetto Archimede di Priolo e in Spagna. L'energia solare viene riflessa dagli specchi e concentrata verso un tubo per riscaldare il liquido contenuto e dare luogo a una circolazione naturale all'interno dell'impianto. Il flusso del liquido genera energia utile per azionare le turbine e quindi produrre energia.

Questi impianti sono in grado di coprire il fabbisogno crescente di desalinizzazione dell’acqua marina e di produzione di elettricità in tali paesi e inoltre di generare corrente pulita che può essere trasportata in Europa mediante cavi a corrente continua ad alta tensione (HVDC High Voltage Direct Current) con perdite complessive limitate al 10-15%.

Il progetto nell’arco degli anni non è stato esente da critiche e il costo eccessivo senza dubbio è stato messo in primo piano. Il progetto Desertec richiede un investimento di 400 miliardi di euro. Questa tecnologia ancora sperimentale ha sofferto non poco nell’accedere a dei finanziamenti concreti. Di certo oggi la l’avvio del progetto dipende dalla situazione economico-politico e sociale che sta investendo in queste ore tutte le nazioni nordafricane comprese nel programma.

Fonte: ( Desertecitaly )

mercoledì 2 febbraio 2011

Dal cashmere alle miniere

La Mongolia è grande cinque volte l’Italia ma ha solo 2,75 milioni di abitanti, di cui il 40% concentrati nella capitale Ulan Bator. Più di un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà 101.600 tugrik (60 euro) mensili nonostante nell’ultimo anno ci sia stata una crescita economica dell’8%: vent’anni dopo il collasso del comunismo il paese è a un nuovo punto di svolta.

La Mongolia, oggi è il Paese meno densamente popolato del mondo, con quattro persone per miglio quadrato. Si estende tra praterie sconfinate, steppe, foreste subartiche sempreverdi, zone umide, tundra alpina, montagna, e deserto. In questo contesto vivono; yak, capre, renne, cammelli, lupi, orsi, marmotte, scoiattoli, falchi, aquile e gru, e soprattutto alcuni degli ultimi popoli nomadi con i tradizionali cavalli selvaggi.

Negli ultimi dieci anni una combinazione di catastrofi economiche e climatiche hanno costretto molti mongoli provenienti dalle zone rurali a cercare opportunità nella capitale Ulan Bator, e la città si è ingrandita enormemente, da 300.000 a circa un milione di oggi .

La catastrofe economica sicuramente è derivata della crisi economica mondiale che ha portato ad una drastica riduzione della domanda del cashmere abbattendo radicalmente il prezzo della pregiata lana, fonte primaria di sopravvivenza, e mettendo per l’ennesima volta in crisi il popolo mongolo.

La catastrofe climatica invece è stata data dall’inverno scorso che è stato terribile per la Mongolia, con temperature sui 50 gradi sotto lo zero e con la neve che ha coperto il territorio mettendo alla fame le mandrie e le quasi diecimila famiglie di pastori nomadi. Circa dieci milioni di bovini, pecore, capre, cavalli, yak e cammelli sono morti, un quinto del totale del paese. Il danno è valutabile in 520 miliardi di tugrik, quasi 300 milioni di euro.

Un sondaggio ha messo in evidenza che queste tragedie hanno portato il 50% dei cittadini ad essere ben disposto ad accettare la nuova opportunità data dagli investimenti minerari. Questi, senza dubbio, rappresentano il futuro cambiamento epocale, dato dal più grande progetto di esplorazione mineraria nella zona di Oyu Tolgoi, nella Mongolia meridionale, con depositi minerari enormi, più grandi dell’intero stato della Florida. Sotto il suolo mongolo ci sono oro, rame, uranio, carbone e terre rare che aspettano solo di essere estratte. Il tutto si sviluppa tramite una joint venture tra una società canadese di nome Ivanhoe e il governo della Mongolia, con un finanziamento significativo dato anche dal colosso minerario cileno Rio Tinto. Insieme, hanno in programma di investire 5 miliardi dollari in operazioni nei prossimi anni, rendendo Oyu Tolgoi il più grande investimento straniero nella storia della Mongolia.

Il governo della Mongolia può tranquillamente essere considerato pro-mining e nel corso della vita previsto di 65 anni della miniera, i ricavi sono destinati a diventare un terzo del prodotto interno lordo della Mongolia. Il boom estrattivo senza dubbio triplicherà o quadruplicherà le dimensioni dell'economia mongola nei prossimi cinque anni, anche se il rapporto tra grandi risorse naturali del paese e la ricchezza della sua gente è ancora da definire.

Fonte: ( Guardian )